Alcuni aspetti della mia
relazione "Metodi di Analisi di un Audiovisivo", tenuta a
Salsomaggiore nell'ambito del 1° Seminario Tecnico di AV, hanno
suscitato un particolare interesse, tanto che ho pensato di proporre
queste riflessioni nel Notiziario, a disposizione anche degli assenti.
Nella relazione
(scaricabile da
http://www.fiaf.net/diaf/1-seminario-tecnico-le-relazioni/),
percorrendo una ad una le varie componenti di un AV, mi sono soffermato
sugli errori più comuni in cui è facile incorrere, vuoi per
inesperienza, vuoi per disattenzione, vuoi per scarsa precisione. La
seguirò quindi, capitolo per capitolo, approfondendo in modo schematico
i vari argomenti. Ovviamente esprimerò il mio punto di vista,
consapevole del fatto che quello che io considero "errore", per un altro
autore potrebbe essere "un punto di forza". Anche nella fotografia tutto
è relativo.



IL TITOLO: nel cinema, nel
modo musicale, in letteratura costituisce un importante elemento di
richiamo. Hanno presa sul pubblico titoli facilmente memorizzabili,
originali, in grado di incuriosire. Il titolo inoltre deve rispecchiare
i contenuti dell'audiovisivo, perchè orienta inevitabilmente verso
argomenti che dovranno essere ritrovati dal pubblico. Errori comuni sono
un titolo generico, banale, già utilizzato da altri, ma
anche un titolo pretestuoso, di comune riscontro nelle rassegne
di viaggi, ove spesso l'AV ha come titolo nientemeno che la nazione
visitata, come se le foto proposte costituissero una "summa" a tutto
campo di quella nazione.
L'IDEA: un vero punto di
forza, in grado di conferire all'opera una forte originalità. L'errore
più grossolano è un AV senza idea: un susseguirsi di immagini a
mo' di catalogo. Se ne vedono purtroppo tanti. Occorre far volare la
fantasia e, se proprio questa non decolla, conviene ripiegare almeno su
un'idea banale, scontata. Ricordo sempre che non è obbligatorio fare un
audiovisivo.


LA CAPACITA' COMUNICATIVA:
gli AV "descrittivi" e quelli "estetico-creativi" sono
dotati di una loro autonomia comunicativa e, per loro natura, sono di
comprensione immediata. La capacità comunicativa è invece necessaria
negli AV che contengono un messaggio, che raccontano il proprio
punto di vista su tematiche sociali, storiche, politiche, di vita
quotidiana.
A volte questi AV utilizzano
sequenze fotografiche e/o una costruzione sonora ricca di simbologie, di
metafore, di elementi evocativi. Fantastico, ma molto rischioso. E'
facile "innamorarsi" del proprio AV, a cui abbiamo dedicato tante ore,
giorni (spesso notti) e tanto impegno. Lo conosciamo anche nelle
virgole, avendolo riguardato mille volte. Ogni immagine, ogni sequenza
ha il suo preciso significato, analizzato e rielaborato accuratamente.
Peccato che lo spettatore non ci capisca niente. Percepisce un contenuto
confuso, disordinato e ne rimane sconcertato. In effetti pretendiamo che
in 6 minuti di proiezione riesca a decodificare oscuri significati,
allusioni, simboli, metafore.
Seguono scene pietose alla
fine della serata di proiezione: ma come, non hai capito? mi sembrava
tanto chiaro... L'autore se ne va convinto di aver avuto a che fare
con un pubblico di buzzurri mentre lo spettatore se ne va convinto di
aver avuto a che fare con uno che vuol fare il fenomeno.
La volta successiva l'autore
fa precedere la proiezione da una lunga spiegazione verbale a prova di
idiota, in cui espone dettagliatamente tutti i passaggi e il loro
significato. Parte del pubblico si addormenta per cui, ancora una volta,
non sarà in grado di cogliere contenuti tanto profondi quanto ermetici.

Il tema della "spiegazione verbale
prima della proiezione" è alquanto dibattuto. Ovviamente, quando vado al
cinema, non ho il regista nella poltrona accanto che, tra un popcorn e
l'altro, mi spiega le scene. E' vero che esistono i trailers, le
recensioni, ma personalmente faccio parte di quella grande massa di
pubblico che preferisce vedere il film senza essere influenzato da
trama, contenuti, commenti. Quando sono in giuria, non leggo mai la
scheda di accompagnamento. Lo faccio solo dopo aver visto l'AV (e
qualche volta ho pensato che sarebbe stato meglio non leggerla). Come il
film, l'AV deve "parlare" da solo. Diceva Ansel Adams:
Ho sempre pensato che la fotografia sia come una
barzelletta: se la devi spiegare non è venuta bene.
In generale, nelle rassegne
pubbliche una breve presentazione (non una spiegazione) dell'opera ci
sta bene, non fosse altro per far conoscere meglio l'autore e per
favorire una atmosfera più cordiale.
Un altro errore di comunicazione è dare
per scontata la conoscenza degli argomenti trattati, quando questi
riguardano elementi culturali "di nicchia". Questo errore risulta
ricorrente negli AV che fanno riferimento ad avvenimenti storici in
paesi lontani, a situazioni sociali o tradizioni religiose remote, a
movimenti culturali del passato.
Una soluzione la
troviamo nell'AV pluridecorato "Per sempre bambini" di Paolo Cambi (http://www.fiaf.net/diaf/9-circuito-audiovisivi/)
che contiene un testo introduttivo in grado di contestualizzare l'opera,
favorendo una immediata comprensione. Lo spettatore, ricevuto
l'opportuno inquadramento storico, si potrà lasciar andare alla
percezione emozionale.
Testi introduttivi per una
collocazione storica, geografica, politica, emotiva si ritrovano spesso
nel cinema. Una introduzione, pertanto, conferirà all'AV una totale
autonomia di comprensione. Anche il testo di presentazione diventa
elemento di regia, per cui dovrà essere studiato con grande accuratezza
per essere veramente efficace.
La 2° parte tratterà degli
errori più comuni riguardanti la fotografia, la colonna sonora, la
regia.
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